(riflessioni sparse su Kindle, servizio clienti Amazon e librerie che sono indipendenti solo in teoria)
Che il Kindle di Amazon abbia pesantemente influito nel privare la società contemporanea di romanticismo è indubbio. Tuttavia, siccome il romanticismo mi fa schifo, io e il suddetto Kindle avevamo avviato una relazione piuttosto fruttuosa, anche se i miei amici ci osteggiavano tutti, con la storia che “Non è la stessa cosa, perchè vuoi mettere l’odore della carta?”. Io e il Kindle, comunque, eravamo una coppia piuttosto libera, nel senso che lui non se la prendeva più di tanto quando, periodicamente, tornavo alla carta, al primo amore, quello che non si scorda mai.
Stavo rileggendo “Finzioni” di Borges quando quel bastardo mi ha lasciata così, senza nessun preavviso, con la metà superiore dello schermo come unico ricordo del nostro amore e tutto il resto bianco. L’impulsività da donna ferita mi aveva spinta ad urlare frasi inviperite tipo “La carta non tradisce così!” o a prendermela con quelli che ci avevano osteggiati (“Sarete contenti, adesso!”). Ci ho messo due mesi per superare la cosa, ho iniziato a rileggere “La versione di Barney” e “La ragazza dai capelli strani”, su carta, ho comprato “Il peso della grazia” di Raimo e “La ragazza con la gonna in fiamme” della Bender, sempre su carta, prima di decidermi, finalmente, a chiamare il servizio clienti Amazon anzi, tecnicamente, a farmi chiamare. Funziona che si clicca su un tastino con su scritto “CHIAMAMI”, che fa tanto linea telefonica porno o qualcosa del genere, e cinque minuti dopo, magia magia, squilla il telefono, e per la gente a cui pesa il culo tipo la sottoscritta è un bene dover premere solo il tastino per rispondere invece che i circa dieci tasti per comporre il numero.
Gentili, non c’è che dire. Efficienti, non c’è che dire. Mi mandano un kindle nuovo entro giovedì. Però, a me i tizi che parlano al telefono nei servizi clienti mettono tristezza a prescindere perchè sono pagati poco e obbligati di default a essere gentili, carini e virtualmente sorridenti anche con la gente rincoglionita tipo me, che fino alla chiamata al servizio clienti Amazon non avevo ancora capito che quando ti chiedono “Hai una carta di credito? rispondere “No, però ho la Postepay” è paradossale perchè di fatto la Postepay E’ una carta di credito. Insomma, io mi sarei mandata a cagare. E, tizio del servizio clienti di Amazon, dico a te, se quando ho attaccato mi hai presa per il culo, beh, hai fatto bene. Comunque, stavo divagando: il punto, il “però” reale, è che la telefonata ha risvegliato la me “vecchia nostalgica” e mi ha tirato fuori un commento tipo: “Però le librerie indipendenti sono un’altra cosa, cazzo”.
Non è la stronzata dell’odore della carta che qualcuno, forse Lagerfeld, aveva pure avuto l’idea di farci un profumo (prevista invasione di versioni hipster di Marylin Monroe, a letto “vestite” di due gocce di profumo di carta e niente più). E’ perchè, siccome sono collettivista dentro, ho sempre avuto l’idea della letteratura che trascende la pura addizione di singoli atti capitalistico/individualistici (semplicisticamente riassumibile in: scrittore-libro-editore, libraio-lettore, lettore-libro) e diventa un unico atto collettivo in cui scrittore, editore, libraio e lettori sono alla pari e usano insieme il libro e l’atto del leggere come mezzo per produrre resistenza all’impoverimento culturale (e per questo, per aumentare il potere resistenziale, è importante che i libri siano liberi e che possano essere messi in condivisione, prestati. Cosa che, ad esempio, Amazon impedisce). In quest’ottica non ho mai considerato le librerie, le piccole librerie indipendenti, come luoghi di commercio: erano punti di aggregazione di cellule di resistenza.
Però quando si fa militanza politica si diventa consapevoli del fatto che, a parte le utopie di quando alle medie studiavi il sessantotto e ti immaginavi le puttanate stile “Fiori nei cannoni”, “Amore universale” e via discorrendo, nei movimenti ci sono un sacco di pezzi di merda. Nella militanza culturale è uguale: editoria a pagamento, scrittori di merda, lettori di merda, sfumature di grigio, giampaoli serino e via discorrendo. Ad esempio, le librerie indipendenti le ho sempre difese, per il motivo che scrivevo sopra, dell’aggregazione delle cellule di resistenza e perchè questa resistenza non è strumentalizzata dalle major a fini strettamente capitalistici. Poi un paio di giorni fa, a cinque giorni di distanza dalla chiamata alla Amazon, in una presunta libreria indipendente trovo una gigantografia che sponsorizza il nuovo libro di Federico Moccia, libri belli usciti di recente quasi nascosti e roba tipo le sfumature di marrone merda più varie porcate di case editrici a pagamento locali messe in primo piano appena si entra. A questo punto, vaffanculo, me ne vado alla Feltrinelli. Me ne torno all’altra libreria, che mi è sempre piaciuta di più e che di fatto rientra nell’ottica della mia idea di aggregazione di resistenza culturale anche se poi teoricamente è un Punto Einaudi.
Concludendo? Il servizio clienti Amazon è efficiente ma è triste e difendere le librerie indipendenti solo perchè sono indipendenti economicamente è una puttanata, perchè indipendente non è automaticamente sinonimo di qualità. Non so se c’è qualche nesso tra le due conclusioni. Si potrebbe tirare fuori la teoria che il nesso c’è, ed è che siccome la Amazon è così efficiente, le librerie indipendenti devono iniziare a vendere merda che però si vende per tirare a campare: è una cazzata, dal momento che l”unica soluzione è puntare non sulle porcate che vendono, che su Amazon sono più economiche, ma sulla qualità e sull’aggregazione culturale.
Comunque, anche se il nesso non c’è, io all’inizio l’avevo scritto che si trattava di riflessioni sparse.